Retrogames - Boulder Dash


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Il fascino del retrogaming “di lungo corso” è legato anche alla “ridotta distanza” che non di rado si riscontra tra il videogioco e le idee che ne costituiscono la struttura concettuale. I severissimi limiti imposti dagli hardware in uso nei primi anni ʼ80, infatti, obbligavano gli sviluppatori ad escogitare delle trovate semplici ma efficaci, per poterle poi tradurre validamente in pochi pixel. Questa sorta di “trasparenza concettuale” che contrassegna determinati titoli “made in eighties” deriva anche dal fatto che i relativi team di programmazione sono di solito composti da pochi elementi, mentre l’inevitabile mediazione tra spunti iniziali e concreta realizzazione va più o meno di pari passo con le problematiche tecniche.
Coloro che hanno avuto modo di seguire l’evoluzione videoludica nel suo dipanarsi lungo un arco di tempo di due o tre decenni, dunque, converranno sulla circostanza che diversi “giochi elettronici” evidenzino una riproduzione sorprendentemente diretta di alcune azzeccate idee.

In effetti, la riscoperta di certi classici coincide a grandi linee con la rivalutazione di quelle trovate vincenti che li hanno resi pressoché intramontabili.
Parafrasando una celebre battuta del film V per Vendetta, si può riassumere il principio con: “Sotto l’estetica spartana di questo vg non ci sono solo dei dati, sotto questa semplice grafica c’è un’idea… e le idee sono a prova di decenni”.

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Boulder Dash è un interessante esempio di evergreen videoludico basato su una brillante struttura concettuale che ha superato indenne il 28° anno dal suo debutto su Atari 8-bit home computers. Ideato nel 1983 da Peter Liepa e Chris Gray, questo apprezzatissimo action-puzzle firmato First Star Software prende spunto dal coin-op The Pit(Zilec - 1982), per svilupparne alcune dinamiche e realizzare, così, un vero e proprio hit dalla “profondità” nettamente superiore. Al di là del suddetto arcade, indicato come fonte d’ispirazione dallo stesso Liepa nel corso di un’intervista, viene spontaneo paragonare Boulder Dash al ben più noto Dig Dug, benché, a conti fatti, le similarità con quest’ultimo risultino assai limitate.

Il titolo First Star cala il giocatore nei panni di Rockford, un intrepido minatore determinato ad avventurarsi nei pericolosi meandri di 16 cave, per raccogliervi un gran numero di pietre preziose.
Se il nostro eroe è in grado di farsi strada scavando dei cunicoli nel terreno in modo del tutto analogo a The Pit e Dig Dug, la “rilevante” estensione delle miniere e la moltitudine di massi che, insieme alle mura, ne ostacolano l’avanzata, contribuiscono a marcare le differenze nei confronti dei succitati coin-op. Le 324 videate che formano le mappe, infatti, conferiscono a Boulder Dash una non trascurabile componente esplorativa e lo scrolling multidirezionale consente di prendere visione solo progressivamente delle varie insidie, ovvero degli onnipresenti macigni e delle bizzarre quanto ostili creature (Fireflies, Butterflies, Amoeba).

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Come si evince dal titolo, sono proprio i massi l’elemento più caratteristico dell’action-puzzle di Peter Liepa e Chris Gray. Questi macigni, difatti, innocui finché circondati dal terreno, divengono viceversa pericolosi, giacché Rockford li libera dai vincoli del suolo, scavando al di sotto o lateralmente ad essi. Per rendere “plausibili” i movimenti dei massi, Liepa ha ideato una sorta di basilare “motore fisico”, affidandogli la singola caduta e le “frane” che si verificano quando l’eroe turba il precario equilibrio su cui si regge un gruppo di rocce. Inutile precisare che il minatore rischia di finire schiacciato da un macigno ad ogni piè sospinto, visto che, per raccogliere le pietre preziose, è inevitabilmente costretto a “stuzzicare” con frequenza questi diffusissimi elementi.

Volendo illustrare le basi delle dinamiche di gioco che contraddistinguono Boulder Dash, si potrebbe anche descriverlo come un action impreziosito da spunti “strategici”, il cui gameplay si articola lungo le seguenti direttive: raccogliere quante più gemme possibili entro un tempo limite, evitare di perdere una vita a seguito di una “frana” o per un contatto ravvicinato con un “baddie” e raggiungere il portale d’uscita della cava, che si attiverà dopo che il protagonista avrà raccolto un determinato numero di “jewels”. Il quadro di cui sopra, in ogni modo, sarebbe solo parziale, poiché non menzionerebbe ulteriori elementi che contribuiscono significativamente alla notevole varietà e “profondità” del titolo First Star.
Gli autori, infatti, hanno pensato bene di (1) puntare su stage di una certa complessità che includono tre distinte categorie di mura (“Standard” - abbattibili tramite l’esplosione di un baddie, “Titanium” - indistruttibili, ed “Enchanted” - generatori di gemme), (2) permettere a Rockford di eliminare Fireflies, Butterflies utilizzando i massi (l’eroe è anche in grado di spingere un singolo macigno) e (3) vivacizzare due miniere con la bizzarra Amoeba, ovvero una creatura semiliquida che si estende costantemente fino ad invadere gran parte dell’area di gioco, se non viene prima “soffocata” circondandola di rocce.
Da notare come l’interazione tra queste ultime e il minatore sia più diversificata di quanto non sembri di primo acchito, giacché le frequentissime frane possono anche intrappolare il protagonista, impedirgli l’indispensabile accesso a particolari settori o, al contrario, far sì che prosegua nel suo cammino in seguito ad un’opportuna “reazione a catena di tipo pietroso”.

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Boulder Dash (1984), dunque, è un titolo più “complesso”, evoluto e intrigante di quanto non appaia. Grazie alla sua struttura “modulare” che si basa sulle ricombinazioni di pochi elementi grafici, questo notevole action-puzzle firmato First Star sviluppa in soli 16 kB di memoria un’eterogeneità davvero sorprendente, considerato che le 16 cave possono essere affrontate scegliendo uno tra 5 livelli di difficoltà e cimentandosi con massi & C. attraverso dinamiche piuttosto differenziate.

Il minatore Rockford, in effetti, è coerentemente il protagonista di una gemma videoludica che ha mantenuto intatto il proprio splendore.
Pubblicizzato sin dall’inizio come ideale connubio di “strategia” e riflessi, Boulder Dash riscuote uno straordinario successo che si traduce in una nutrita messe di conversioni. Originariamente sviluppato su home computer Atari 400/800, il super-hit First Star si fa apprezzare anche in sala giochi (realizzato da Exidy) e porta le sue frane su: Amstrad CPC, Apple II, Atari ST, ColecoVision, Commodore 64, MSX, NES, MS-DOS e ZX Spectrum. Inizia così una lunga serie di seguiti, spin-off, remake e variazioni sul tema che ad oggi assomma a ben 20 titoli, distribuiti in quasi tre decenni d’inarrestabile “caduta massi”.

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Il capostipite per “Atari 400, 800 and XL Series Home Computers” gira su sistemi dotati di almeno 32 kB di RAM, se il relativo supporto è magnetico (“DISK / TAPE”) o 16 kB, nel caso in cui si disponga della versione silicea (“CARTRIDGE”).

Per quanto impreziosito dall’incisivo tratto che caratterizza il protagonista, inevitabilmente assurto ad icona videoludica, il comparto visivo di Boulder Dash non va oltre la mera funzionalità di uno pseudo board game tradotto in pixel. La grafica, infatti, è delineata in una spartana quadricromia e i movimenti scattosi di Rockford & C. scontano la struttura modulare alla base della geniale creazione software di Peter Liepa e Chris Gray. Gli unici acuti di un fronte estetico abbastanza dimesso sono rappresentati dal gustoso fade in/out, sorta di corrispettivo ante litteram anni ʼ80 del “Matrix falling code effect”, dal decente scorrimento multi direzionale e dalla simpatica animazione dell’impaziente Rockford, ovvero quel famoso “toe-tappin’ ” che non mancherà di fare scuola.
Il settore sonoro esordisce con una simpatica quanto orecchiabile title music, per poi lasciare il campo ai soli effetti che, sfruttando a dovere il chip audio POKEY, garantiscono un’ ”atmosfera” ed una tensione difficilmente ipotizzabile dalla sola visione degli scarni screenshots. L’indubbia efficacia degli FX, difatti, contribuisce in modo significativo alla “personalità” di Boulder Dash e fa parte a pieno titolo del peculiare fascino esercitato dal classico First Star.

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Uno degli aspetti migliori del retrogaming è senza dubbio la riscoperta. Quando poi l’eventualità di quest’ultima riguarda un “gioco elettronico” cronologicamente lontano come Boulder Dash, sorge spontaneo il dubbio di non riuscire più a far scattare quella scintilla che un tempo si era tradotta in un lungo e soddisfacente divertimento. Si può ritenere, in effetti, che il solco rappresentato dai lunghi anni di progresso tecnologico sia ormai incolmabile e che il supposto “evergreen” sia infine “appassito”… salvo poi costatare che, in diversi casi, non è affatto così.

Boulder Dash, perfetto meccanismo d’intrattenimento ideato negli ormai lontani eighties, continua a “funzionare” a dovere in un’epoca che, videoludicamente parlando, è distante ere geologiche da quella che ha visto il suo debutto. In effetti, il solo riprendere in mano un titolo come questo dopo oltre un quarto di secolo e trovarlo ancora appagante, a prescindere da tutti i cambiamenti che si sono succeduti in cinque lustri, è già di per sè una significativa emanazione della “magia” insita nel retrogaming.

https://www.youtube.com/embed/U5_lz0AUsGQ
COMMENTO FINALE

L’esordio della serie Boulder Dash su Atari 8-bit home computers non potrebbe essere più brillante. Questo geniale action-platform firmato First Star Software, infatti, realizza un connubio perfetto tra l’irresistibile immediatezza e le gustose venature strategiche che ne rendono particolarmente accattivanti le dinamiche di gioco. Il titolo di Peter Liepa e Chris Gray è senz’altro un vincente di lunghissimo corso che, nonostante i 28 anni dal suo folgorante debutto e a dispetto di un comparto visivo abbastanza scarno, non ha ancora perso lo smalto originario. Pensate che, dopo cinque lustri abbondanti d’intensa storia videoludica, un vecchio 8-bit classic da 16 kB delineato in una spartana quadricromia e con elementi grafici stilizzati non sia più in grado di riconquistarvi? Mettetelo alla prova e non mancherete di ricredervi!

Luglio 2012, Alessio “AlextheLioNet” Bianchi